Comunicazione della scienza: che professione è?
Una call 4 stories: comunicatori della scienza ci siete? Chi siete? Che facciate questo lavoro per caso o per vocazione, racconteremo le vostre storie in questa nuova newsletter
Questa newsletter raccoglie e racconta storie di comunicatori della scienza.
Non di scienziati le cui gesta sono spesso oggetto di narrazioni e miti, ma proprio di comunicatori della scienza. Che professione è?
La situazione è complessa: uno dei motivi per cui vogliamo partire dalle storie, dalle persone e dal modo in cui raccontano la loro identità professionale è proprio quello di esplorare una nebulosa polifonica. Giornalisti scientifici, divulgatori, creator, docenti, editori..ma anche persone che applicano competenze di comunicazione scientifica alla loro professione: se in qualche modo vi sentite comunicatori della scienza e avete voglia di condividere la vostra storia, contattateci!
Con questo post inizio a raccontarvi da dove nasce l’idea, facendo un giro un po’ lungo, ho questo brutto vizio. Dalle prossime edizioni cominceremo a pubblicare le storie, alternandole con qualche riflessione.
Da dove nasce
A fine febbraio ero nel pubblico del Festival dell’educazione scientifica, un festival organizzato dagli studenti corso di laurea magistrale in Didattica e comunicazione delle Scienze naturali dell’Università di Bologna, per il quale Con cura studio ha realizzato l’immagine coordinata. Trovarmi nelle stesse aule con studenti, laureandi e neolaureati che hanno deciso di occuparsi di comunicazione della scienza e con relatori e docenti, che hanno una carriera consolidata in questo settore, mi ha portato a interrogarmi su una questione che per me è da sempre un nervo scoperto: l’identità professionale. Il nervo scoperto che viene pungolato ogni volta in cui si tratta di presentarsi, di spiegare che lavoro faccio, di cosa si occupa Con cura studio, di scegliere un job title.
Ma questa volta, mi sono anche dovuta confrontare con le differenza di età - da una parte un gruppo di persone giovani che sono all’inizio della loro storia professionale e dall’altro persone della mia età circa con una storia fatta di tappe già raggiunte. Stesso problema, ma oltre a domandarmi chi sono, si sono aggiunti dubbi sul mio percorso, sui risultati raggiunti, sulla direzione.
Il panorama della comunicazione della scienza è molto cambiato da quando ho cominciato, più visibile a tutti e più sfaccettato, e così sono cambiate le storie di chi intraprende questa carriera: ci sono corsi per diventare comunicatori un po’ a tutti i livelli di istruzione, c’è una comunità italiana di professionisti abbastanza solida, ci sono i creator sui social, gli opinion leader in TV, e ci sono stati professionisti che hanno offerto modelli di riferimento. La fiducia nella scienza - seppure sotto attacco su alcuni fronti - resta a livelli alti, e di scienza si parla tanto, nel bene e nel male, anche perché è diventato un argomento polarizzante.
Scegliere di seguire questa carriera oggi cosa significa? E cosa significava ieri? Ascoltando le parole dei laureandi, nel dipanarsi delle storie di alcuni professionisti, ho sentito nella mia mente emergere un concetto, quello di “vocazione” professionale.
Viverla e narrarla come una vocazione
Ho provato a cercare nella letteratura scientifica una definizione di vocazione che suonasse meno connotata religiosamente, il termine italiano mi sembra a tratti fuorviante. Ho trovato molto poco sulla vocazione dei comunicatori della scienza, qualcosa in più sulla vocazione professionale in senso lato.
In questo articolo, viene presentata una prospettiva che mi sembra calzante rispetto al concetto che vorrei esprimere: “Many scholars regard an intimate connection between self and work to be the essence of the experience of work as a calling”. In genere questo tipo di ricerca raccoglie storie nel campo delle relazioni di aiuto (religiosi, medici, infermieri, insegnanti). Difficile trovare storie di vocazione di marketing director o sales manager.
Le narrazioni di fiction invece ci hanno dato tante e disparate storie di vocazioni professionali, storie ironiche, satiriche, motivazionali, che vogliono essere di ispirazione o di allarme. Provate a pensare a film e serie tv: ci sono storie di artisti, scienziati, imprenditori, avvocati, informatici…
La narrazione della vocazione professionale segue tradizionalmente due filoni: una narrazione più “neoclassica”, in cui la vocazione è vissuta come una chiamata del destino, un compito morale con un locus of control esterno. Che sia dio o la nostra intrinseca natura, nostro compito è quello di comprendere la chiamata e rispondere.
Secondo una narrazione più moderna la vocazione viene da dentro, la nostra agency gioca un ruolo importante nell’ascolto di quella voce interiore che ci guida alla piena realizzazione del nostro potenziale e dei nostri valori, attraverso la ricerca di nuove esperienze, confronti e conferme. La ricerca della propria identità professionale è un compito svolto attivamente e in cui siamo noi a scegliere la direzione ed eventualmente anche a cambiarla.

Perché le storie sono così importanti? Secondo lo psicologo Dan McAdams:
L'identità narrativa è costituita dalle storie che le persone costruiscono e raccontano di sé per definire chi sono per sé e per gli altri.
Anche la storia professionale svolge questo stesso compito, in un contesto specifico. Le storie che raccontiamo di noi stessi, anzi le performance narrative che mettiamo in atto di volta in volta adattandole al contesto, al pubblico e a specifici scopi comunicativi, ci servono per dare senso alla nostra vita e per trovare il nostro posto nel mondo relazionale.
Per costruirle attingiamo alle storie che abbiamo ascoltato, cerchiamo di dare un senso alla nostra esperienza, in costante confronto con quelle degli altri e con quelle che fanno parte del nostro bagaglio culturale.
Vocazione professionale: cosa ce ne facciamo?
A che pro raccontare la propria storia professionale come una vocazione? Tornando agli studi scientifici potrebbe essere la chiave della motivazione e del benessere lavorativo.
Gli studi indicano che le persone che vivono il loro lavoro come una vocazione hanno un maggiore successo professionale, sperimentano più significato sul lavoro e hanno livelli più elevati di benessere sul lavoro. La ricerca suggerisce anche che le vocazioni sono associate a una più forte identificazione professionale e coinvolgimento con il lavoro, a un maggiore impegno organizzativo e a un più forte impegno di carriera.
Il modo in cui costruiamo la nostra identità professionale, definisce anche il modo in cui ci relazioniamo con le altre persone quando performiamo il nostro ruolo di comunicatori della scienza.
Un’identità professionale relativamente stabile, basata su una narrazione coerente e significativa, ci aiuta ad essere più efficaci, ad affrontare sfide e incertezze a trovare risorse sociali.
Anche far parte di una comunità, ancora di più una comunità riconosciuta, è un vantaggio non da poco. Se fossi giornalista con tanto di iscrizione all’albo, sarebbe più facile spiegare che lavoro faccio, anche dal parrucchiere.
E qui arriviamo ad un altro tema critico, il confronto tra l’identità professionale e l’identità sociale del comunicatore della scienza, l'appartenenza ai gruppi sociali e quello che significa alla persona appartenere a un gruppo sociale. Qual è il suo ruolo nella società, in quali dinamiche di ruolo, di posizione e di potere si colloca rispetto ad altre professioni, come è percepito questo ruolo dai membri della comunità e dall’esterno.
Seguire una vocazione è anche una sfida continua: quella tra l’individuazione e l’identificazione con il gruppo sociale, la comunità dei comunicatori della scienza.
un professionista può creare un equilibrio ottimale che riduce al minimo le tensioni tra la costruzione di un'identità troppo unica e che quindi isola dall'identità del ruolo professionale (sottoidentificazione) e la costruzione di un'identità troppo simile all'identità del ruolo professionale e che quindi fa scomparire la propria unicità (sovraidentificazione)
Una nebulosa da esplorare
Man mano che avanzo nella scrittura di questo testo, mi accorgo di quante informazioni mi mancano per rispondere a tanti dubbi.
Anche solo se esiste, questo fenomeno, o se me lo sono inventato di sana pianta: esiste una vocazione per questa professione, che faccio persino fatica a definire con un’etichetta: “il comunicatore della scienza”? Quali sono le narrazioni dell’identità professionale utilizzate? Esiste una “comunità dei comunicatori della scienza” in Italia? Da quali valori, posture, linguaggi è accomunata?
Vedo tanti professionisti differenti e simili, ascolto voci e storie che si riconoscono in una sorta di nebulosa identitaria, che però è più una polifonia bachtiniana (talvolta cacofonica, talvolta armonica) e mi piacerebbe conoscere le loro storie. Per non cadere negli stereotipi, nelle generalizzazione e mantenere viva una sincera curiosità dovrei fare qualcosa di più che scrivere un articolo come questo, che mette insieme intuizioni vaghe, opinioni personali e qualche spunto sparso dalla letteratura scientifica.
Una delle attività “fuori tema ma non troppo” che ho imparato a svolgere in questi anni di libera professione sono le interviste narrative: l’intervista è pratica giornalistica, ma l’intervista narrativa è uno degli strumenti della ricerca qualitativa, della narrative inquiry, in particolare, orientata a comprendere le storie di vita. Obiettivi diversi e output differenti, ma il comune denominatore è probabilmente l’ascolto attento, di sé e dell’altro, nel rispecchiamento reciproco. Secondo Jerome Bruner il “narrative inquirer” attraverso l'ascolto delle narrazioni, comprende meglio l'identità del narratore e, di conseguenza, anche se stesso.
Non sarebbe male provarci…
Ne ho parlato con le mie socie di Con cura, Rossella Failla e Chiara Di Lucente, e ci siamo dette semplicemente “facciamolo!”
Così nasce questo progetto: ascoltare storie diverse per capire qualcosa di più sulle nostre identità professionali, ospitando le interviste in questa newsletter.
Magari raccogliendo anche un corpus, da analizzare in maniera più rigorosa in un secondo momento, e le osservazioni su quello che questi dialoghi potranno produrre in noi. Decideremo strada facendo.
Adesso cerchiamo qualcuno che abbia voglia di raccontarci la sua storia professionale: come sei diventato un divulgatore della scienza su tiktok? Quando hai capito di essere un comunicatore della scienza? Quale strada hai percorso per arrivare ad essere il responsabile della comunicazione di un ente di ricerca? Che cosa significa per te essere un giornalista scientifico?
Cominceremo dalla nostra rete di amici e contatti personali, ma chiunque abbia voglia di raccontare la sua storia, alzi la mano!