#7 Virginia: trovare un percorso che risuoni con sé
Dalla chimica alla comunicazione istituzionale della scienza, passando per il giornalismo e la divulgazione sui social, Virginia ha costruito una strada non sempre lineare ma che parla dei suoi valori
Virginia Marchionni, romana, classe 1994, è laureata in Chimica, ha conseguito il master in comunicazione della scienza alla Sapienza Università di Roma e sta per completare la laurea magistrale in Comunicazione e didattica delle scienze naturali all’Università di Bologna. Science writer, content writer e social media manager, cura la comunicazione per la Società Italiana di Mineralogia e Petrografia. Ma Virginia è anche Scienza alle femmine, progetto nato su Instagram e cresciuto nel tempo, che racconta la scienza da una prospettiva femminista intersezionale. Crede nella comunicazione inclusiva, continua a formarsi in ambiti diversi e si definisce transfemminista convinta, impegnata a diffondere un’idea di scienza accessibile, equa e rappresentativa di tutte le persone.
Virginia, cominciamo dall'inizio. Raccontami com'è cominciato il tuo percorso da comunicatrice della scienza.
Inizierei da lontano. Sono sempre stata una persona molto curiosa, con tanti interessi, ma se c’è una cosa che mi ha accompagnata fin da quando ero piccola è la passione per la comunicazione. Mi è sempre piaciuto leggere e scrivere, e sono sempre stata affascinata da tutto ciò che riguarda il linguaggio, soprattutto quello scritto, dal dialogo, dal confronto con le persone, dalla conoscenza. Per questo, alle superiori mi sono iscritta al liceo classico, che però si è rivelato un’esperienza abbastanza dura: ad un tratto quello che pensavo mi piacesse e che mi aveva fatto propendere per quella scelta sembrava non appassionarmi più. In realtà era il modo in cui venivano insegnate materie come italiano, latino e greco che mi ha fatto allontanare da quelle discipline. Così, un po’ a sorpresa, mi sono ritrovata ad avvicinarmi alla matematica e alle scienze: in quel periodo erano diventate le materie che trovavo più stimolanti.
Dopo il diploma mi sono trovata di fronte alla scelta di cosa fare all’università. Dentro di me sentivo convivere tante nature diverse, a volte anche in contrasto tra loro, e non avevo le idee chiare, ero davvero combattuta. Alla fine ho scelto una facoltà scientifica e mi sono iscritta alla triennale di chimica. Un po’ perché, uscendo dal liceo, mi sembrava che quello fosse l’ambito che mi interessava di più, un po’ perché si diceva che con una laurea scientifica sarebbe stato più facile trovare lavoro. Eppure, mentre frequentavo i corsi, ho iniziato a rendermi conto che in realtà mi attraevano di più le materie umanistiche. Insomma, si è ripetuto quello che era successo al liceo: forse è una costante della mia vita (ride, ndr)! Non che la chimica non mi piacesse, o che avessi problemi nel frequentare quella facoltà: amando la conoscenza in generale, mi interessava qualsiasi argomento, ma mi mancava un approccio alla materia più legato alla comunicazione, alla dimensione storica e all’approfondimento di taglio umanistico.
Ho sempre percepito che il mio cervello funziona “in modo più umanistico”, se così si può dire. Per esempio, mi ha colpito moltissimo scoprire che nella triennale di chimica non si studiasse minimamente la storia di questa disciplina. Per me è stato quasi uno shock: com’era possibile studiare teorie e concetti senza sapere chi li aveva formulati, quando, in quale contesto? Perciò, alla fine della triennale, ormai consapevole di non voler proseguire con una magistrale in chimica, ho iniziato a cercare un'alternativa.
Come ti sentivi allora?
Un po’ spaesata: avevo studiato per oltre tre anni una cosa che sì mi era piaciuta, ma che non volevo più fare, ed ero alla ricerca di un modo per conciliare la laurea in chimica con qualcosa che potesse risuonare di più con i miei interessi e le mie passioni. Lo spaesamento è durato finché non mi sono imbattuta nei master di comunicazione della scienza offerti da diverse università italiane, primo su tutti quello di Sapienza Università di Roma. Leggendo i programmi di studio, ho iniziato a pensare che una formazione del genere fosse proprio quello che cercavo: le lezioni affrontavano discipline come la bioetica, la filosofia, le teorie della comunicazione scientifica, il giornalismo. Quello che mi ha fatto decidere definitivamente, poi, è stata l’idea di poter tornare a scrivere, un’attività che ho sempre amato e che non ho mai davvero abbandonato. Già durante la triennale avevo ricominciato a scrivere su un blog, soprattutto articoli di crescita personale, rendendomi conto di quanto mi facesse stare bene. Insomma, pur sapendone poco, il giornalismo scientifico e la comunicazione della scienza mi sembravano la scelta giusta.
E così, nel 2020, mi sono iscritta proprio al master della Sapienza. Lì ho scoperto un mondo che poteva mettere insieme tutti i pezzi del mio percorso: la scienza che avevo studiato fino a quel momento, ma anche quel tipo di approccio che mi era mancato durante gli studi universitari, quella volontà di trattare, oltre al “cosa”, anche il “come” e il “perché” a monte del processo scientifico. Direi di aver unito i puntini: ho capito che quella poteva essere davvero la mia strada, non solo lavorativa ma anche di realizzazione personale.
Ti sei imbattuta in questo master quasi per caso, ma prima di allora avevi già un’idea, magari anche vaga o imprecisa, della comunicazione della scienza?
Se devo dirla tutta, all’inizio non sapevo nemmeno che esistesse questo ambito. Non ricordo bene come ci sono arrivata: cercavo qualcosa che mettesse insieme comunicazione e scienza, e forse spulciando tra i vari master disponibili mi sono imbattuta in quello della Sapienza. Avevo un’idea della comunicazione scientifica molto limitata, forse più giornalistica: pensavo agli articoli di scienza che leggevo ogni tanto sui giornali, e me la immaginavo così. Non avevo minimamente capito che fosse un ambito legato anche alla ricerca, o che la comunicazione della scienza fosse un qualcosa che dovrebbero conoscere anche i ricercatori stessi. Tutto quel mondo della terza missione, per esempio, per me era totalmente sconosciuto. Anche i divulgatori scientifici sui social ho iniziato a seguirli solo dopo: certo, conoscevo quelli più famosi, ma all’inizio non avevo un reale interesse nemmeno per quell’aspetto. Adesso ho una visione più chiara, perché è diventato il mio lavoro, ma allora ero davvero molto ingenua. È stato un approdo un po’ casuale, ma alla fine si è rivelato quello giusto.
Quando hai deciso di intraprendere questo percorso ne hai parlato con qualcuno a te vicino? Quali sono state le loro reazioni?
Per la mia famiglia, scegliere una laurea scientifica era soprattutto una questione di trovare un lavoro sicuro. Quindi l’idea di lasciare tutto, dopo i sacrifici fatti, per seguire una strada incerta come la comunicazione della scienza, che all’epoca per me voleva dire soprattutto giornalismo, è stata vista con molta perplessità. Mia madre, per esempio, voleva farmi sentire appoggiata, ma so che diceva alle mie sorelle e al mio ragazzo: “Oddio, adesso come farà? Non troverà mai lavoro!”. Ma io ero proprio decisa. È stata una delle prime volte nella mia vita in cui non ho ascoltato nessuno. Ho detto: “No, io voglio fare questo”. Certo, la mia famiglia, gli amici, il mio ragazzo, erano tutti un po’ scettici. Anche perché la comunicazione della scienza è un mondo poco conosciuto. Se dici che fai chimica, la gente si immagina subito un laboratorio, la ricerca, qualcosa di concreto. Ma se dici comunicazione della scienza, molti nemmeno sanno cosa sia. E quindi la reazione è tipo: “Ma questa che andrà a fare? Ma che lavoro è?”.
Proseguiamo con la tua storia. Quale è stato il tuo primo approccio con la comunicazione della scienza da un punto di vista professionale?
La mia idea iniziale era, come dicevo, scrivere e occuparmi di giornalismo scientifico, tant’è che ho scelto di fare il tirocinio per il master a Galileo, Giornale di Scienza. All’inizio non è stato semplice. Ricordo che mi sono sentita inadeguata, forse perché il giornalismo non era davvero la mia strada. Mi piaceva scrivere, ma la scrittura giornalistica è diversa dalla scrittura a cui ero abituata, mi sembrava che ci fossero troppe regole che non sentivo mie. E soprattutto, avevo difficoltà con i tempi: dovevo scrivere articoli in fretta, su argomenti che spesso non conoscevo approfonditamente, biologia, paleontologia, campi lontanissimi dalla chimica. Mi sentivo sempre indietro, non abbastanza veloce, non abbastanza preparata, non abbastanza sveglia. A un certo punto ho pensato di aver sbagliato di nuovo. Meglio che studiare chimica, certo, però... non so, non era quello il mio posto. Per cui ho smesso di occuparmi di giornalismo vero e proprio, anche se ho continuato a scrivere per vari blog, dove avevo più tempo per gli approfondimenti. Sempre in quel periodo, un altro “primo approccio” è stato sicuramente la pagina Instagram Scienza alle Femmine, che ho aperto proprio durante il master.
Raccontaci di più di Scienza alle Femmine…
All’inizio l’idea era semplice: raccontare storie di scienziate, un po’ per esercitarmi, un po’ per dare un senso a quel momento in cui, tra master e la pandemia, non stavo lavorando. Mi sembrava un modo utile per mettermi alla prova e allo stesso tempo avevo notato l’assenza di una certa narrazione che promuovesse le figure femminili nella scienza. Con questo progetto mi sono avvicinata a un’altra forma di comunicazione, più legata ai social media e alla divulgazione scientifica su queste piattaforme. Non amo troppo il termine “divulgazione”, ma è stato un primo passo in quella direzione. In altre parole, Scienza alle Femmine mi ha permesso di unire la passione per i social, che già coltivavo da un po’, a un interesse crescente per il tema del gender gap nella scienza: quel mondo lì, fin da subito, mi ha risuonato molto di più che il giornalismo. Inizialmente era solo una pagina Instagram, ma nel tempo il progetto è cresciuto: non è ancora un lavoro, ma mi ha già portato a fare cose interessanti, partecipare a eventi, collaborare a iniziative.
Una a cui sono particolarmente legata è un evento all’Università di Tor Vergata, di qualche anno fa, in cui ho parlato con gli studenti del gender gap negli ambienti scientifici. Si è creato un dibattito molto interessante, non solo su quel tema ma anche su questioni come il classismo e il razzismo nella scienza, argomenti di cui, almeno per quella che è la mia esperienza, si parla troppo poco all’università. Vedere l’interesse dei ragazzi, confrontarmi con loro, mi ha fatto sentire utile. È stato importante anche perché Scienza alle Femmine nasce e si sviluppa quasi del tutto online, non ho spesso occasione di parlare dal vivo con le persone, quindi quell’incontro in presenza è stato davvero prezioso. Ho avuto anche l’opportunità, seppur per un breve periodo, di collaborare con l’Associazione Donne e Scienza. Non è andata avanti per via dei miei impegni, ma anche solo conoscere quelle persone è stato un onore: molte di loro sono studiose che si occupano di questi temi da decenni. Ricordo ancora una professoressa che mi raccontava di quando aveva incontrato Rita Levi Montalcini… per me è stato emozionante, quasi mitico. Insomma, Scienza alle Femmine è stato ed è ancora un modo per esplorare la comunicazione scientifica in una forma più mia.
Torniamo all’inizio della tua carriera da comunicatrice scientifica. Dopo il tirocinio e il master, cosa è successo?
Concluso il master, ho dovuto capire che direzione prendere a livello lavorativo. Il giornalismo, per come lo avevo sperimentato, non faceva per me. Avevo iniziato a collaborare con qualche blog, soprattutto nell’ambito dell’informatica, ma i compensi erano praticamente inesistenti. Così ho deciso di fare il servizio civile, mentre nel frattempo continuavo a collaborare con alcuni blog e mi dedicavo a far crescere Scienza alle Femmine. Ho scelto il servizio civile più che altro per impiegare il tempo in modo utile, non pensavo che potesse avere un impatto sul mio percorso professionale. Invece sono stata assegnata a una società senza scopo di lucro che si occupa di persone vittime di tratta e di donne vittime di violenza, e quando hanno visto il mio curriculum mi hanno affidato la parte di comunicazione. Ho avuto modo di occuparmi del blog, dei social media e di realizzare una piccola campagna di comunicazione. È stata un’esperienza che mi ha fatto scoprire il mondo della comunicazione da una prospettiva più istituzionale, legata al terzo settore. Lì ho capito che una realtà senza scopo di lucro poteva essere l’ambiente giusto per me: non si trattava ancora di comunicazione scientifica, ma lavorare per una causa, per qualcosa che reputo utile alla società, mi fa sentire a mio agio e motivata. Sono rimasta in quella realtà nove mesi, senza terminare l’anno di servizio civile, perché poi ho deciso di iscrivermi di nuovo all’università.
Mi avevi detto di aver escluso l’idea di fare una laurea magistrale…
In quegli anni era nato il nuovo corso di laurea magistrale in Comunicazione e didattica delle scienze naturali all’Università di Bologna, che non esisteva ancora quando avevo terminato la triennale in chimica. Quando ho visto che con il mio background potevo iscrivermi a quel corso e studiare materie più vicine ai miei interessi, non ho avuto dubbi e ho deciso di proseguire gli studi, sia perché avevo voglia di continuare a studiare, sia perché pensavo che potesse essermi utile nel mondo del lavoro. Nel frattempo, ho continuato a collaborare con qualche blog e a cercare un’occupazione.
Per un breve periodo ho lavorato per l’Università Politecnica delle Marche, dove avrei dovuto occuparmi di comunicazione, ma di fatto facevo soprattutto attività di segreteria. Poi, finalmente, ho trovato l’opportunità giusta: la Società Italiana di Mineralogia e Petrologia cercava una figura per occuparsi della comunicazione, ed è lì che lavoro tuttora, da due anni e mezzo. Il mio ruolo è versatile, gestisco i social e la newsletter rivolta ai soci, curo il sito web, organizzo campagne di comunicazione e soprattutto mi occupo dell’organizzazione e della comunicazione del congresso scientifico annuale, organizzato con la Società Geologica Italiana. Si tratta del più grande congresso del settore in Italia, il che comporta una mole di lavoro notevole, dalla ricerca degli sponsor alla logistica, fino all’editing degli abstract e dell’abstract book. Non mi occupo direttamente della parte scientifica, che è gestita da un comitato apposito, ma collaboro strettamente anche su quel fronte, soprattutto nella gestione dei contenuti online.
Insomma, dopo un percorso non proprio lineare, sono arrivata a occuparmi di comunicazione della scienza all’interno di una società scientifica senza scopo di lucro, il cui obiettivo è sostenere la ricerca e premiare i giovani ricercatori. Chiaramente non è la scrittura creativa che uno immagina quando sogna di scrivere per lavoro, ma amo la varietà di attività che il mio lavoro comporta, la missione di sostegno alla ricerca a cui sento di contribuire e il contatto quotidiano con il mondo della scienza.
Che cosa ti ha aiutato a crescere da un punto di vista professionale?
Aver fatto tante esperienze diverse a livello lavorativo mi ha aiutato moltissimo a capire qual era davvero la mia strada e mi ha insegnato tanto di me e del mio modo di lavorare. Per esempio, ho capito che dal punto di vista professionale per me è fondamentale stare in un ambiente sereno, è lì che cresco davvero. Quando mi sento a mio agio, libera di imparare, esprimermi e lavorare per qualcosa in cui credo, riesco a dare il meglio di me. Anche il fatto di potermi occupare di tante cose diverse è un altro aspetto che mi fa crescere: ho bisogno di varietà, di stimoli nuovi, altrimenti mi annoio facilmente. Quindi sì, anche se faccio questo lavoro da un po’, sento di continuare a crescere proprio perché mi trovo in un contesto piccolo e flessibile, dove ho la libertà di sperimentare e di provare cose che magari in ambienti più strutturati non avrei potuto fare.
Un altro elemento fondamentale è stato Scienza alle Femmine. È da lì che ho iniziato a esprimere le mie idee sulla comunicazione della scienza e, anche se all’inizio mi sembrava di dire cose banali, ho ricevuto feedback molto positivi da persone che stimo, anche con molta più esperienza di me. Quella fiducia da parte loro mi ha dato l’autostima per dire: ok, posso fare la comunicatrice della scienza, posso avere una voce che viene ascoltata. In realtà credo che abbia avuto anche un impatto più diretto sul mio percorso lavorativo: avere un progetto personale ben curato e coerente con quello che vuoi fare viene visto molto positivamente in fase di selezione, e così è stato anche per me. Nonostante non ci guadagni praticamente nulla, è strettamente collegato al mio modo di vivere la comunicazione della scienza, e cerco di portare quello stesso approccio anche nel mio lavoro quotidiano: una scienza inclusiva, accessibile, attenta alle disparità. In effetti la società per cui lavoro promuove moltissime iniziative a favore delle donne nella scienza… chissà come mai! Ma in fondo, quando mi hanno assunto, non hanno scelto solo me: hanno scelto anche Scienza alle Femmine. Perché quel progetto personale è parte integrante della mia identità professionale, e separare le due cose sarebbe impossibile.
Per il momento sei una delle poche persone, in Italia, che sta seguendo un corso di laurea costruito proprio sulla comunicazione della scienza. Secondo te quanto incide la formazione in questo ambito e nel tuo lavoro?
Secondo me, la formazione incide tantissimo. Oggi ci sono molte figure professionali che comunicano la scienza e non serve per forza aver fatto un master o avere una formazione specifica per farlo di mestiere. Tantissimi ricercatori, per esempio, si occupano anche di divulgazione, e molti dei divulgatori noti online non hanno alle spalle un percorso accademico in comunicazione della scienza. Detto questo, dal mio punto di vista si nota la differenza tra chi ha una formazione specifica e chi no. Perché oltre alla competenza scientifica, che è ovviamente importante, serve anche consapevolezza di quello che gira attorno alla scienza. Serve capire cos’è davvero la scienza, come è nata, come si è evoluta in quella che conosciamo adesso, le sue implicazioni sociali, politiche e culturali.
Questa visione più ampia non la acquisisci facilmente studiando solo una disciplina scientifica. Io, per esempio, ho iniziato a capirla davvero solo grazie al master in comunicazione della scienza. Studiando chimica, queste dimensioni non mi erano mai state presentate e da quello che mi raccontano anche altri, spesso nemmeno dopo la magistrale o un dottorato si ha una reale consapevolezza del contesto in cui la scienza si muove e delle sue complessità. Per me una formazione del genere è stata fondamentale, anche quando lavoravo in ambito giornalistico. Oggi forse lo è ancora di più, perché mi occupo del “dietro le quinte”, e mi appare ancora più evidente che la scienza non è una conoscenza scesa dal cielo ma una costruzione fatta da esseri umani, che ha certe regole e certi equilibri. Chi scrive un abstract per un congresso, chi viene messo come primo autore, chi viene invitato a parlare… ci sono strutture, relazioni e implicazioni che non sono neutre. Avere strumenti per leggere tutto questo è essenziale.
Ripensando al tuo percorso, ci sono stati dei momenti particolarmente difficili o degli ostacoli?
Devo ammettere che su questo mia madre aveva ragione: non è certo un ambito in cui si viene pagati benissimo. La comunicazione della scienza è fondamentale, anche come supporto alla ricerca scientifica stessa, ma in Italia (e non solo), manca ancora un vero riconoscimento istituzionale della figura del comunicatore o della comunicatrice scientifica.
Noi comunicatori e comunicatrici della scienza dobbiamo spesso “inventarci” il nostro spazio, spiegare cosa facciamo, e far capire che non siamo né solo comunicatori generici, né semplicemente scienziati, ma siamo una figura professionale a sé, con competenze e obiettivi specifici. Una delle difficoltà che mi viene in mente, per esempio, riguarda l’accesso ai concorsi pubblici. In teoria esistono posizioni che potrebbero corrispondere a chi ha studiato comunicazione della scienza, come ruoli di supporto alla ricerca o alla divulgazione in ambito universitario. In pratica, però, spesso quei bandi hanno requisiti che escludono chi ha una specifica formazione in comunicazione della scienza: questo fa capire quanto ancora non venga riconosciuta la nostra figura professionale. Mi è capitato, in passato, di partecipare a un concorso per una posizione che sembrava collegata alla comunicazione scientifica, o comunque di supporto alla ricerca. Dopo aver studiato e superato le selezioni, ho scoperto però che le mansioni reali erano molto diverse da quanto previsto. È stata un’esperienza piuttosto deludente, che mi ha fatto riflettere su quanto a volte le opportunità apparentemente coerenti con il nostro percorso siano, nella pratica, scollegate dalla nostra formazione e professionalità.
Secondo me per questo molte persone, per lavorare in questo campo, si costruiscono una carriera da freelance, cercandosi da soli spazi e lavori. Io ho scelto di non intraprendere quella strada, perché non mi rispecchia caratterialmente. Ma non è semplice nemmeno lavorando in un’istituzione: anche dove sono adesso, dove vengo valorizzata e rispettata, ho comunque la sensazione che la mia formazione in comunicazione della scienza venga percepita più come un “plus” alla mia preparazione scientifica, non come un elemento centrale e distintivo. Eppure i master in comunicazione della scienza si stanno diffondendo sempre di più, segno che la formazione esiste, è strutturata, e ha una sua identità, ma questo ancora non si riflette pienamente nel mondo del lavoro.
In questi anni come è cambiata la tua idea di chi è e cosa fa un comunicatore o una comunicatrice della scienza?
Quando mi sono iscritta al master, non ne sapevo proprio niente. Sono passata dal “boh, non ne so niente, spero di poter scrivere per lavoro e sfruttare in qualche modo la mia laurea scientifica” al capire che quella del comunicatore o della comunicatrice della scienza è una professione un po’ nascosta, poco conosciuta, ma davvero importante, sia per la ricerca scientifica che per la società. All’inizio non sapevo nemmeno se stessi facendo la scelta giusta o se mi stavo buttando nel master solo per fare qualcosa.
Pensavo che i comunicatori della scienza fossero semplicemente giornalisti scientifici, magari quelli che raccontano una missione della NASA, persone a cui piace scrivere e che lavorano in redazione, se vuoi era una concezione anche un po’ romantica. Però poi mi sono resa conto di quanto può essere importante il ruolo del comunicatore o della comunicatrice della scienza, anche come supporto alla ricerca stessa. Adesso penso che il nostro lavoro sia davvero fondamentale, sia per la scienza che per la società. E questa consapevolezza l’ho maturata nel tempo, grazie al percorso che ho fatto.
Ti senti parte di una comunità di persone che fanno comunicazione della scienza, una rete di professionisti in questo campo?
La community dei comunicatori della scienza, almeno in Italia, secondo me è piccola, ma molto solida e anche abbastanza unita. Io non è che partecipi tanto attivamente agli eventi o alle iniziative, quindi il mio sentirla come una vera “comunità” è più legato agli scambi online, a qualche chiacchiera virtuale, oppure a cose come le newsletter dedicate che seguo. Però ci conosciamo più o meno tutti, anche solo di nome o tramite social, e nella mia esperienza le collaborazioni che ho avuto sono sempre state molto stimolanti, con persone genuine, disponibili e appassionate. Quindi sì, mi sento parte di una community, e anche se per ora non collaboro spesso con altri colleghi, so che c'è anche questa possibilità nel caso in cui ne avessi bisogno.
Quanto ti hanno aiutato le relazioni, i contatti, le persone che hai incontrato lungo il tuo percorso?
Grazie a Scienza alle Femmine, al lavoro attuale, ad altre collaborazioni che ho avuto in passato, ho conosciuto tantissime persone che hanno significato molto per il mio percorso professionale, con consigli, con conversazioni stimolanti, ma anche proprio con segnalazioni e passaparola che mi hanno portato a nuove opportunità. Anche per il mio lavoro attuale ho saputo dell’opportunità tramite contatti del mio percorso di studi. Credo che sia un po’ così per tutte le professioni, ma forse ancora di più per chi fa comunicazione della scienza. Come dicevo prima, è un mestiere che in parte ci costruiamo da soli, quindi le connessioni contano tantissimo. E poi mi piace pensare che chi fa questo lavoro lo fa anche per una spinta sociale, per il desiderio di dare un contributo. Quindi, forse proprio per questo, si trovano spesso persone sincere e generose, pronte a darti una mano. E questa cosa fa la differenza.
Che bello leggere di Virginia (grazie Chiara!) e del suo impegno nella comunicazione della scienza. Avanti così 🥳💪🏻